È opinione comune e condivisa che gli organismi che operano nell’ambito dell’istruzione e della formazione debbano sempre più sviluppare la tendenza a muoversi in un contesto europeo. Ma cosa significa per una scuola muoversi in un contesto europeo? Significa offrire a studenti, corpo docente, dirigenti e staff costanti opportunità di formazione in mobilità; significa equipaggiarli con competenze tecniche, linguistiche, di cittadinanza e interculturali utili per una piena partecipazione alla vita politica, economica, culturale e sociale europea e nazionale; significa costruire reti di cooperazione transnazionale con scuole e soggetti attivi in ambito formativo per promuovere lo sviluppo e/o il trasferimento di metodologie, tecniche e contenuti didattici innovativi; significa, in buona sostanza, integrare il confronto internazionale nella vita di una scuola. Per descrivere tutto ciò, viene utilizzato il termine “internazionalizzazione”.
Sono numerosi e diversificati gli strumenti messi a disposizione per il finanziamento di questi processi (su tutti Erasmus+ – 30 miliardi già stanziati per il 2021-27 -, PON MIUR “competenze e ambienti per l’apprendimento”, POR Regionali, ecc…). Al fine di intercettare e sfruttare a pieno queste risorse, occorrono due elementi fondamentali, strettamente collegati tra loro: una solida strategia di internazionalizzazione e le competenze adatte per scrivere e gestire i progetti promossi nell’ambito della strategia elaborata.
Quasi tutte le scuole hanno preso parte, almeno una volta, ad un progetto europeo, ma si osserva spesso che la partecipazione è “occasionale, casuale o contingente” per l’iniziativa isolata di qualche docente. Bisognerebbe che le scuole si dotassero di solidi piani di internazionalizzazione costruiti a partire da un ampio coinvolgimento di tutti i soggetti interessati (in primis gli studenti), che tenga in considerazione di quanto già fatto, che si fondi su una visione di futuro ambiziosa ma realistica, che definisca obiettivi specifici e risultati attesi misurabili. Una strategia, insomma, che sia in grado di descrivere in maniera puntuale i bisogni ai quali si intende dare risposta, come si intende farlo e come sia possibile misurarne il reale impatto nel tempo.
Per fare ciò, e per candidare singoli progetti, considerati in quest’ottica come “pezzi” di un piano più ampio, è fondamentale costruire nello staff quelle competenze di project design and management necessarie ad intercettare i finanziamenti. Competenze che si risolvono, senza esaurirsi, nella capacità di utilizzare approcci e strumenti specifici quali il “Project cycle management” (gestione del ciclo di progetto) e il logical framework approach/matrix (approccio/matrice del quadro logico), utilizzati dalla stessa Commissione Europea nella definizione dei programmi settoriali UE. Strumenti e tecniche analitiche, la cui efficace non può prescindere dalla capacità di utilizzarli in maniera critica e non meccanica.
Solo l’elaborazione di un piano di internazionalizzazione e l’acquisizione di competenze specifiche possono aiutare a superare la considerazione del formulario come insieme di campi da compilare, a favore di una visione organica, funzionale e strumentale alla realizzazione di una strategia. In questo modo, sarà più semplice presentare proposte progettuali di qualità che siano rilevanti, in grado cioè di dare risposte ai bisogni palesati, fattibili, ovvero basate su piani di lavoro chiari e logici ed efficaci, capaci cioè di prevedere attività funzionali al conseguimento degli obiettivi. Rilevanza, fattibilità ed efficacia costituiscono, infatti, il quadro di riferimento per la valutazione di qualsiasi progetto europeo.
La conoscenza delle tecniche di europrogettazione dovrebbe essere considerata una precondizione per la gestione delle fasi di identificazione e pianificazione dell’idea progettuale.
3 dimensioni utili alla valutazione qualitativa: rilevanza, fattibilità e efficacia.