Autore: Walter Scott
Nato ad Edimburgo nel 1771, Walter Scott completò gli studi giuridici e divenne avvocato proprio come il padre. Successivamente, seguendo la sua passione per la letteratura, prese a scrivere iniziando dalle traduzioni di poeti tedeschi, per poi passare alla stesura di importanti romanzi. Fu travolto nel 1826 da un dissesto economico che lo impegnò sia fisicamente che moralmente nell’onesto pagamento di tutti i creditori. A causa di una malattia cardiaca, morì nel 1832.
Data di pubblicazione: 1820
Trama: Il romanzo, sullo sfondo del contrasto tra Sassoni e Normanni e ambientato nell’Inghilterra di Riccardo Cuor di Leone all’epoca del suo ritorno dalla Terza Crociata (1194), verte sulle vicende del cavaliere Wilfred di Ivanhoe, di ritorno anch’egli dalla crociata, che ama riamato Lady Rowena, la prediletta di Cedric il Sassone, padre di Ivanhoe, che aveva ripudiato il figlio per essersi schierato dalla parte di un normanno, Riccardo I.
Ma il matrimonio tra Ivanhoe e Rowena, che costituisce il lieto fine della storia, è tutt’altro che una passeggiata: i due sono infatti ostacolati dalla promessa fatta al nobile sassone Athelstane di sposare la dama e dal rapimento di quest’ultima ad opera dei boriosi e volubili avversari di Cedric, il Templare Bois-Guilbert e il perfido Front-de-Beuf, capeggiati da Maurice De Bracy, invaghitosi della bella Rowena. Nel passo d’armi di Ashby-de-la-Zouche che vede in rassegna tutte le eccellenze cavalleresche del tempo, due cavalieri in incognito, Le noir fainéant (Il Cavaliere Nero) e il Cavaliere Diseredato, rispettivamente Riccardo e Ivanhoe, stupiscono gli spettatori senza rivelare la loro identità, agli occhi di tutti ancora incerta. I due dunque agiscono sotto mentite spoglie, e Ivanhoe, il Diseredato, che rimane ferito nel torneo verrà medicato dalla bella e sapiente Rebecca, figlia del disprezzato ebreo Isaac di York, mentre il Cavaliere Nero, in realtà Riccardo, incontrerà nella foresta un insolito eremita, il “Chierico di Copmanhurst” dalla duplice veste di religioso e arciere. Le vicende dei personaggi, inizialmente percorse dall’autore su binari paralleli, ora prendendo a narrare le peripezie dell’uno, ora dell’altro, si intrecciano quando Rowena, Athelstane, Cedric, l’ebreo Isaac e sua figlia e il cavaliere ferito (Ivanhoe) vengono sorpresi dai falsi briganti di De Bracy e condotti nel castello di Torquilstone, come ostaggi. Solo Wamba e Gurth, rispettivamente il buffone e il porcaio al servizio di Cedric, riescono a scappare ed escogitano un piano per liberare la compagnia rapita, con l’aiuto dell’arciere Locksley, falsa identità di Robin Hood, e i suoi. Nel castello di Torquilstone, nel frattempo, i prigionieri subiscono diverse sorti, chi minacciato di tortura, chi insidiato. Rowena e Rebecca rispondono al disperato corteggiamento dei loro rapitori, la prima reagendo con un pianto commovente, l’altra più coraggiosamente minacciando di buttarsi dalla torre. Il castello viene poi assediato e i prigionieri liberati. Nella mischia, Front-de-Beuf muore nell’incendio appiccato da Ulrica, sua vecchia amante spesso violentata dall’uomo, che sfrutta adesso la situazione per riscattarsi dalle sofferenze patite; De Bracy viene catturato, mentre Bois-Guilbert, con Rebecca, si rintana nella precettoria di Templestowe, dove la figlia dell’ebreo subisce un processo per stregoneria rischiando il rogo, fomentato proprio dall’innamorato Bois-Guilbert, che tenta di eliminarla in quanto lei non gli si vuole concedere.
Ivanhoe, ripresa la sua identità così come Riccardo, salva Rebecca duellando in sua difesa e battendo in singolar tenzone il Templare. Nello scontro finale Bois-Guilbert muore, mentre Ivanhoe vincitore ripaga la donna le cui cure una volta lo avevano salvato.
Sventata la disonestà di alcuni monaci, ai quali era stato affidato il corpo ferito del nobile Atheltstane e che approfittando dello stato di parziale incoscienza e debolezza del ferito l’avevano nascosto e fatto credere morto, per assicurarsi i donativi della madre del defunto, le nozze del valoroso Ivanhoe e della bella Rowena hanno finalmente via libera. Di fronte all’amore di Rowena e di Ivanhoe, entrambi ormai convinti di sposarsi, anche Athelstane smentisce i suoi progetti di matrimonio con la donna, non interessata a lui, benché promessagli. Il romanzo si conclude con le nozze tra Ivanhoe e la sua Rowena a cui prendono parte sia Normanni che Sassoni, al termine delle quali, in separata sede, Rebecca va a ringraziare la sposa per la gentilezza di suo marito nei suoi confronti e per il valore dimostrato.
Non potendo rivolgersi direttamente al cavaliere, comunica a Rowena la sua decisione di partire con il padre per la Spagna, regalandole una preziosa collana e degli orecchini di diamanti.
Confronti letterari: Rispondendo alle esigenze di un’epoca storica di cambiamenti e influenzata dalla mentalità duplicemente attratta ora dal pensiero romantico, ora ancora memore di quello illuminista, Scott intesse abilmente un romanzo la cui commistione dell’elemento storico e di quello romantico risulta accontentare entrambe le correnti. Nel suo Ivanhoe, infatti, l’autore fa in modo che lo stile di scrittura ed il genere storico del romanzo (novel) coincidano in qualche modo con l’argomento di matrice cavalleresca (romance). Gli echi di un mondo medievaleggiante diventano il rifugio del lettore alle prese con un codice di valori ed un universo distaccato dal reale, ma narrato secondo i dettami della scrittura storica tutta in voga nel presente.
La dimensione temporale in Ivanhoe è per questo determinante: i personaggi sembrano riemergere da un’opera medievale di cui tentano di apporre la loro visione nel presente, muovendosi su uno scenario ricostruito ad hoc, seppur con qualche imprecisione anacronistica. Ma l’etica cavalleresca resta appannaggio di un universo trapassato e può rivivere soltanto come finzione letteraria, con cui Walter Scott tenta di riprendere ogni sfumatura del periodo che rappresenta. I personaggi parlano una lingua influenzata dal pensiero cortese, le dame nel loro portamento, i cavalieri nel loro valore; ma è un pensiero che assume valore solo nei limiti del mondo rievocato, ben lontano da quello Ottocentesco. Dunque Ivanhoe, nella complessa ricostruzione storica di ambienti e personaggi, risulta essere la riscrittura in prosa di una solida intelaiatura poetica d’argomento cavalleresco e cortese, che obbedisce alle norme e ai valori di un mondo medievale impossibile da trasferire integralmente nel presente, troppo distante per costume e per mentalità. Comunque sia, a Scott piace tuffarsi in un viaggio verso una tappa distante qualche secolo, per afferrare un nome, un modo di essere, un topos e traslarlo nel suo romanzo. E’ questo il tentativo di dare vita alle sue figure che, seppur apparentemente statiche nel loro codice di comportamento distante dall’epoca in cui Scott tenta di riprenderlo, con la forzata dinamicità storica delle trame ben intrecciate sembrano riprendere vita.
L’interesse di Scott per questo periodo lo porta a rifarsi a stili di scrittura oppure canoni di rappresentazione con cui vuole immortalare i suoi personaggi, in realtà poco simili nel loro modo di pensare al pubblico dell’epoca. Ad esempio, dei personaggi della letteratura del Medioevo Scott riprende la descrizione distaccata e angelica della donna e la utilizza per pennellare la figura di Rowena. Una dama non distante dalla figura celebrata a più riprese specialmente nei secoli XII e XIII della donna-angelo, il cui amore esula per sempre dalla passione fisica, ed evita finanche gli sguardi (“Quando Rowena si scorse gli occhi del Templare fissi su di lei […] si trasse dignitosamente il velo sul volto come per significare che l’indiscreta libertà di quello sguardo non era gradita”) che possono sporcarne l’intangibile nobiltà d’animo. La descrizione fisica della donna, inoltre, evita ogni accenno a dettagli sensuali o passionali, guardandosi dal soffermarsi su dettagli attraenti più propri di una protagonista di un romanzo amoroso. Scott fa leva sulla dolcezza del suo sguardo, sulla perfezione dei suoi lineamenti, piuttosto che sulla carnosità delle labbra o sulla morbidezza delle sue forme, che non consentono a tutti di guardarla. Gli occhi indiscreti di un uomo voluttuoso non possono posarsi su di lei, sulla sua bellezza che è tanto estetica quanto etica, come se fosse lo specchio di sé. Così Sir Walter Scott dipinge la donna: “[…] La sua carnagione era chiara, ma la forma della testa e i lineamenti erano tali da escludere quell’aria un po’ insulsa che talvolta si accompagna alle bellezze diafane. I suoi limpidi occhi azzurri sembravano capaci […] di commuovere, di comandare e anche di supplicare. I capelli, ornati di gemme, erano d’un colore fra il castano e il biondo e pettinati in modo fantasioso e aggraziato […]”. La descrizione, romanzata, non fa che esagerare i pochi accenni alle diafane bellezze, quasi non descritte, delle dame medievali, di cui un esempio rappresenta la Dama di Fayel, protagonista femminile del romanzo cortese Il romanzo del castellano di Coucy e della dama di Fayel. Nel romanzo medievale la bellezza della donna è data per scontata, ed è espressa più che altro attraverso la concezione purificatrice dello sguardo del cavaliere che è il mezzo per cui si trasmette l’amore alla dama. Se in Ivanhoe Rowena evita lo sguardo del cavaliere che la disturba, è perché evidentemente il suo animo altezzoso e sdegnato ha visto che non c’è beltà nel cuore dell’ammiratore, fatto che trapela dallo sguardo del tutto indiscreto e indesideratamente fisso. Gli sguardi del Castellano di Coucy, invece, sono espressione di un amore disinteressato e puro, che la dama “dal dolce sembiante” ricambia, riconoscendone la nobiltà. (Continua)