Come scrive la penna irlandese Edna O’Brien, “l’Irlanda è una meravigliosa incubatrice”, terra accogliente e rigogliosa, culla delle storie più intriganti e avvincenti. Ovunque sull’isola di Smeraldo è possibile imbattersi in angoli curiosi, scorci e vedute dalla bellezza rara e inaspettata. Ad ogni svolta e crocevia ci sarà una nuova sorpresa ad attendere l’incantato viaggiatore d’oltremanica, come l’allegra visione dei colori in cui ci si imbatte imboccando la pimpante Merrion Square, la celebre piazza di Dublino in cui domina la statua di un adagiato Oscar Wilde.
Ma non è solamente il dandy più famoso della città l’attrazione principale di questa piazza né i capolavori d’architettura georgiana con gli edifici e la vista sul parco.
La vera attrazione di Merrion Square sono in realtà le coloratissime porte delle sue case in puro stile anglosassone, ciascuna diversa da un’altra, ciascuna contrassegnata da una propria nuance vivida e brillante, e poi i singolari batacchi in ferro battuto e i raschietti pulisci-scarpe che le rendono davvero uniche e inconfondibili.
Sì, inconfondibile credo che sia la parola adatta, perché è proprio dalla “confusione” che è nata l’idea di dipingere le porte con colori sgargianti e vivaci.
Vi racconto com’è andata.
Tutto ebbe inizio nel XVIII secolo tra due celebri vicini di casa, lo scrittore George Moore, al cui racconto è ispirato il film “Albert Nobbs”, e l’intellettule Oliver St. John Gogarty, a cui sono intitolati decine di bed and breakfast, ristoranti e soprattutto pub. Sì, perché i due, oltre ad essere amanti dell’arte, della filosofia e della letteratura, erano anche appassionati cultori del malto d’orzo e assidui frequentatori dei pub.
Tra sorsi di birra e dissertazioni intellettuali capitava quindi che al rientro a casa spesso i due sbagliassero porta, finché Moor, un po’ per irritazione un po’ per puro egocentrismo com’è tipico degli artisti, decise di dipingere la sua porta di verde, un acceso verde Irlanda. In questo modo il suo vicino avrebbe fatto finalmente più attenzione al momento del rientro serale. In tutta risposta anche Gogarty dipinse la sua porta, di un bel rosso vivo.
Da questo comico battibecco tra compagni di bevute è nata così la leggenda delle porte colorate di Dublino. Quanto abbia di vero questa bizzarra vicenda non è dato saperlo, resta il fatto che una buona storia è sempre una buona storia e che da allora il fenomeno delle porte contraddistinte da giochi di colore e vernici si è diffuso a macchia d’olio, in un giocoso arcobaleno che si estende dal quartiere nobiliare delle case georgiane fino ai sobborghi operai e alle zone più periferiche, facendo di Dublino quella gioiosa città variopinta che è oggi, capace di trasmettere il buon umore anche in una grigia giornata di pioggia.
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