A partire dalla Riforma Gelmini del 2010, la metodologia CLIL (Content Language Integrated Learning) è stata resa obbligatoria per l’insegnamento di una materia non linguistica nell’ultimo anno delle scuole secondarie di II grado in Italia. Si tratta di una scelta in linea con la maggior parte dei Paesi europei, in buona parte dei quali, anzi, l’insegnamento in una lingua diversa da quella madre riguarda una percentuale ben più rilevante di studenti e di ore di lezione.
La metodologia CLIL trae origine dal concetto di Immersione linguistica ed è stato proposto per la prima volta nel 1995 da una Risoluzione del Consiglio della Comunità Europea. L’obiettivo è quello di rafforzare l’apprendimento di una lingua straniera, utilizzandola come veicolo per studiare materie non linguistiche (ad esempio, storia, scienze naturali, psicologia, etc.).
Come da più parti si afferma, tuttavia, ridurre questo approccio al semplice insegnamento di una materia in inglese (o in un’altra lingua L2) è riduttivo e banalizzante. Utilizzare la metodologia CLIL significa anche porre in atto una serie di scelte didattiche in discontinuità rispetto alla tradizionale lezione frontale trasmissiva, quali l’apprendimento per competenze, la lezione partecipata con interazione continua tra studenti e docente, la riflessione su quanto si è appreso tenendo conto degli obiettivi raggiunti di volta in volta (portfolio)… insomma, significa altresì mettere in pratica quelle indicazioni didattiche che mirano alla modernizzazione della scuola. Inoltre, gli studi effettuati portano a ritenere che la CLIL, oltre a permettere effettivamente di acquisire una buona padronanza della lingua veicolare, consenta di apprendere meglio i contenuti della disciplina che si sta studiando, attraverso una più approfondita riflessione sui termini-chiave della materia.
Per diventare insegnanti CLIL in Italia, occorre, secondo le indicazioni dell’INDIRE (l’Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa, un ente dipendente dal Ministero dell’Istruzione), oltre a una certificazione linguistica di livello C1 (un livello assai elevato) nella lingua in cui si intende insegnare, la frequenza di un corso di perfezionamento universitario specifico del valore di 60 CFU (praticamente, il monte crediti di un anno di università). Insomma, si tratta di un percorso formativo decisamente non di poco conto!
Nella mia esperienza di docente di lettere, non ho avuto modo, finora, di mettermi alla prova nell’insegnamento CLIL (anche perché, pur avendo conseguito la certificazione C1 in inglese, non ho ancora seguito il corso di perfezionamento; quindi, al momento, non potrei proprio). Tuttavia, incuriosito, ho chiesto ai miei studenti di V di raccontarmi l’esperienza CLIL dal loro punto di vista, dato che quest’anno hanno avuto modo di sperimentare la metodologia in diverse ore di storia. Il feedback è stato molto negativo, ma i ragazzi non sono riusciti a spiegarmi in modo chiaro il perché di tale giudizio. Semplicemente, hanno affermato di “non capirci niente”. Eppure, la loro insegnante di storia è una collega davvero preparatissima, giovane, aperta, scrupolosa: io ritengo che lei abbia creduto nel nuovo approccio (altrimenti non si sarebbe sobbarcata un corso di perfezionamento tanto impegnativo) e abbia condotto le lezioni nel miglior modo possibile. E allora, qual è il problema? Io non sono in grado di dare una risposta.
Probabilmente, è troppo presto per poter effettuare un’analisi, le indicazioni ministeriali hanno avuto piena attuazione dall’anno scolastico 2014/15, con variazioni da scuola a scuola, quindi siamo ancora in una fase “sperimentale”. Inoltre, va considerato che la valutazione offerta dai miei alunni non risulta condivisa dall’unanimità della popolazione studentesca, anzi: se diamo una sguardo al web, prevalgono giudizi ampiamente positivi.
E, d’altra parte, mi appare assolutamente indispensabile un atteggiamento costruttivo da parte dei ragazzi, fondamentale che mettano da parte i preconcetti e che non sottovalutino le loro competenze nella lingua straniera. Rischiano di non sfruttare appieno una grande chance di apprendimento linguistico (e non solo, come abbiamo visto) che le generazioni precedenti non hanno avuto!