Come migliorare il clima ambientale in classe. Per una gestione positiva degli aspetti comportamentali, relazionali e didattici a scuola

Le difficoltà nella gestione dei gruppi classe sono all’ordine del giorno. Queste tematiche si presentano, per molti versi, come: “La materia del futuro”. La società si sta modificando in...

Le difficoltà nella gestione dei gruppi classe sono all’ordine del giorno. Queste tematiche si presentano, per molti versi, come: “La materia del futuro”.

La società si sta modificando in fretta, i ragazzi che entrano nelle nostre aule cambiano velocemente, anno dopo anno, generazione dopo generazione, molto più rapidamente di quanto non fosse accaduto nelle generazioni precedenti e sempre più impetuosamente.

Per contro l’istituzione scolastica appare lenta, spesso debole, affaticata, ferita… come debole e ferito appare il ruolo di noi docenti, rispetto ai genitori, rispetto alla società e spesso anche rispetto alla dirigenza che ci dovrebbe tutelare.

Il nostro lavoro, il lavoro di insegnante, è un mestiere che implica fatica, sacrificio, impegno e costante dedizione eppure… quando tutto questo non basta, la situazione può diventare veramente rischiosa: innanzitutto per la nostra salute e incolumità psico-fisica; secondariamente per il benessere degli alunni, che rischieranno di perdere la possibilità di una maturazione positiva in una fase cruciale della loro vita, fase che contribuirà a definirli come adulti. Un intervento mancato, un risultato positivo non conseguito oggi, può riflettersi in un adulto con scarse attitudini alla realizzazione personale e al benessere della società domani.

Insomma, il fatto che i problemi comportamentali, gli agiti aggressivi e i disturbi dell’apprendimento si vadano moltiplicando, è predittivo di una futura generazione adulta con problemi legati alla scarsa fiducia nei propri mezzi e a importanti deficit di empatia.

Nel presente articolo attraversiamo alcuni degli strumenti fondamentali che abbiamo a disposizione per affrontare questa emergenza. Strumenti dei quali i docenti si possono appropriare al fine di ristabilire un clima positivo e costruttivo in classe. Coscienti del fatto che tanto meglio lavoreremo, specie nelle classi inferiori, tanti meno problemi avranno i nostri bambini crescendo. Sarebbe tuttavia un errore pensare che l’intervento sia possibile solo con i più piccoli. Anche con i ragazzi più grandi, della scuola secondaria di primo e secondo grado (specie nei primi due anni di quest’ultima) è possibile fare molto e bene per uscirne tutti… vivi e soddisfatti, noi e loro.

Bacchette incantate o formule magiche non esistono, purtuttavia numerosi sono gli autori e le scuole, a partire da quella comportamentista, che ci regalano una serie di metodi e strategie volti a: 1) leggere la situazione in termini di oggettività; 2) sviluppare un approccio strategico finalizzato al cambiamento positivo; 3) misurare l’efficacia delle azioni poste in essere per scegliere in base ai dati se dobbiamo proseguire sul sentiero tracciato o se è più opportuno cambiare strategia.

Quattro sono gli aspetti fondamentali che dobbiamo conoscere e tenere sotto controllo nella vita scolastica: 1) io come sto?; 2) nella nostra classe ci sono dei comportamenti problema rispetto ai quali è necessario attivare protocolli di gestione e/o strategie di intervento?; 3) qual è la qualità comunicativo-relazionale all’interno del gruppo-classe?; 4) adotto strategie didattiche adeguate alle modalità di apprendimento (“eccellenze”, “fascia media”, BES) di tutti gli alunni che mi sono affidati?

Il campo è ampio, ma gli strumenti esistono, basta solo appropriarsene e utilizzarli. Facciamo alcuni esempi:

 

Benessere personale. Entrare in classe è un po’ come salire sul palcoscenico, si va in scena! ma, a volte, può significare doversi mettere l’elmetto. In entrambi i casi se arriveremo all’appuntamento quotidiano stanchi, demotivati, disillusi, terrorizzati di quanto potrà accadere… è giunto il momento di fermarci un attimo.

Facciamoci aiutare da qualcuno (un collega di cui ci fidiamo, un familiare) e mettiamo per iscritto i fattori che concretamente ci stressano. Descriviamoli, elenchiamoli, mettiamoli nero su bianco, già con questo primo atto liberatorio prenderemo le distanze: smetteremo di vivere “nel problema” per iniziare ad affrontare “il problema”.

Cerchiamo poi di ridurre il peso del carico di lavoro (è possibile) e dedichiamo – anche con l’aiuto di semplici tecniche di mindfullness, ma non solo – qualche minuto al giorno a noi, solo ed esclusivamente a noi, per il nostro benessere e la nostra ricarica energetica.

Ricarica energetica. Già, perché quando non riusciamo a venire a capo dei conflitti, siano essi a casa, con i colleghi o con gli alunni, la lancetta della nostra energia si colloca stabilmente in riserva, sul rosso. Con il passare del tempo il rischio di “esaurimento”, detto anche “burn out”, può diventare concreto. Non ha senso attendere che qualcuno ci venga a salvare, siamo noi che dobbiamo fare le scelte giuste: individuare cosa non sta andando bene, cercare di capire come si può cambiare, chiedere l’aiuto di chi può darcelo, trovare le giuste strategie per ricaricare le pile e non farci sommergere dalle cose da fare e/o dai sensi di colpa. Siamo noi ad avere il controllo, si tratta di scegliere.

Bene. Una volta che abbiamo individuato e circoscritto i problemi, evidenziato delle possibili vie d’uscita (sia pure minimali), rialzato il morale e ricaricato le batterie (almeno un poco), è giunto il momento di tornare ad affrontare la classe e i problemi che in essa incontriamo.

 

I comportamenti problema. Ce ne sono fondamentalmente di quattro tipi: 1) arreca danno fisico a se stesso; 2) arreca danno fisico agli altri; 3) interferisce con il suo processo di apprendimento; 4) interferisce con il processo di apprendimento degli altri, danneggia oggetti o arredi, interferisce con la sua accettazione da parte dei coetanei.

Nei primi due casi dovremo immediatamente e urgentemente attivare dei protocolli di gestione della crisi, protocolli scritti chiaramente e che siano operativamente condivisi da tutto il personale e dai genitori. In tutti i casi dovremo provvedere a sviluppare un intervento di modificazione di quel comportamento.

L’elemento fondamentale nella “modificazione del comportamento” è la distinzione tra comportamento e persona. Io non sono i guai che combino e i guai che combino non descrivono ciò che io sono. Io posso smettere, se adeguatamente guidato, di combinare guai, ma io non potrò mai smettere di essere io. Per questo ogni aggettivo negativo appiccicato al nome di un bambino/a, ragazzo/a è una grave offesa all’idea che di se stesso/a che va formandosi (“Io sono svogliato”, “Io non capisco niente”, Etc.).

I bambini/ragazzi si rispecchiano negli occhi dell’adulto e in base all’immagine che vedono riflessa costruiscono la loro immagine di sé. Stiamo attenti a ciò che riflettiamo. Per questo il primo passaggio di un intervento è la descrizione oggettiva del comportamento (cosa fa concretamente?).

Questo significa che dobbiamo affrontare i comportamenti in quanto tali. Incrementare (rinforzare) quelli che vogliamo promuovere e rendere abituali; ridurre (punire) quelli dannosi, per sé e per gli altri.

Mentre, però, le punizioni non insegnano nulla e sono molto pericolose per i livelli di attivazione rancorosa che innescano, tanto in chi le subisce quanto in chi li impartisce (la punizione rinforza innanzitutto chi la dà); un chiaro sistema di rinforzo dei comportamenti attesi è la vera arma vincente, anche nelle situazioni più difficili.

 

Qualità comunicativo-relazionale nella classe. Un chiaro sistema di regole e valori morali condivisi all’interno della classe – o, meglio, dell’Istituto -, permette di attivare un sistema di premi e, se necessario, di punizioni trasparente e funzionale. In ambito di regole è bene ricordare che il cervello cancella sistematicamente il “non”, per cui un “Non correre!” diventerà “Corriii!”, in questo caso volgere le regole in positivo significa affermare “cammina!”, ossia dare un modello positivo del comportamento atteso.

Porsi l’obiettivo di arrivare alla fine del quadrimestre avendo inviato a casa di ogni alunno una lettera, indirizzata ai genitori, di gratificazione per i suoi risultati ci permetterà di consolidare la sua autostima e di alimentare fiducia dei suoi genitori verso di noi. Qualcuno affermerà: “Ma di quello/a è impossibile trovare un aspetto positivo da gratificare!”. Allora, forse, siamo noi che dobbiamo trovare il punto d’inizio di un cambiamento: un punto di forza gratificato ne chiama un altro da gratificare, e via andando. Certo, i passi indietro ci saranno (si chiamano “recuperi spontanei”), ma se sapremo comprendere che anche quelli fanno parte del percorso di crescita… sapremo continuare a rinforzare i comportamenti positivi, mostrando concretamente il giusto modello di comportamento da adottare.

Un forte sistema di comunicazione (circle time, colloqui individuali, comunicazioni scritte al docente), permette al ragazzo/a di essere visto, di essere accettato (ascolto attivo e non giudicante) e di costruire attraverso la relazione con l’altro una corretta immagine di sé, di costruire la propria autostima. Esistono semplici metodi per gestire i litigi, come il “metodo senza perdenti”, e un grande numero di attività da svolgere nel circle-time per valorizzare e/o familiarizzare con concetti come l’amicizia, la solitudine, i punti di forza e di debolezza… e altri aspetti fondamentali che andranno a costituire i nuclei focali delle istanze di base della personalità adulta.

 

Strategie didattiche. Per concludere, possiamo riportare tutti i principi fino a qui delineati all’interno delle nostre strategie didattiche: una volta compreso cos’è l’apprendimento e come avviene, compresi quali sono i fattori che lo favoriscono e quali quelli che lo inibiscono, possiamo anche comprendere cosa accade quando, a causa della neuro-diversità, alcune aree cerebrali non funzionano in maniera adeguata (fenomeno che è all’origine dei DSA). È su queste basi che potremo attivare le giuste modalità didattiche e selezionare gli strumenti compensativi e dispensativi necessari agli alunni con maggiori difficoltà.

Per concludere avremo bisogno di tornare al metodo di studio e alla lettura funzionale. Chiediamo ai ragazzi di leggere e studiare, ma siamo sicuri che noi, o qualcuno prima di noi, abbia insegnato loro a leggere funzionalmente e a studiare in maniera efficace? Qualcuno ha insegnato veramente loro a gestire le informazioni, ad organizzarle, a cogliere l’essenziale, a riorganizzarlo nella mente, per poi ripeterlo? O è stato tutto, unicamente, affidato alla loro capacità e iniziativa individuale?

Riguardo all’analfabetismo funzionale di ritorno che affligge le nuove generazioni adulte la domanda allora può essere: dislessici o cattivi lettori? Il primo caso origina dalla neurodiversità soggettiva, ma il secondo da insegnanti che non hanno adottato le giuste strategie nel giusto momento.

Il problema è: potrebbe anche essere accettabile (e naturalmente non lo è) che a scuola “falliscano” gli alunni BES, ma come ci spieghiamo le migliaia di alunni così detti “normodotati” che tutti gli anni raggiungono risultati insufficienti o comunque ben al di sotto delle loro potenzialità? Sono svogliati e poco motivati, privi di interessi? Va bene, ma perché? Come hanno maturato questo comportamento di scarso coinvolgimento rispetto a quanto gli proponiamo? Di sfiducia e diffidenza verso il mondo adulto?

Tante volte potrebbe essere sufficiente cambiare poco per ottenere molto, molto di più.

 

Articolo di Loto V. Montina – Formatore | lotusflower@email.it

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