Quando si parla di didattica digitale non si può certo prescindere dal PNSD, acronimo del più noto Piano Nazionale Scuola Digitale. Si tratta del documento che, in seno alla legge della Buona Scuola, lancia una strategia complessiva di innovazione del sistema scolastico e per un nuovo posizionamento del sistema educativo nell’era digitale. È quindi il pilastro e il punto di partenza per l’educazione digitale, il cui impatto e la cui importanza sono percepibili lungo tutto lo stivale.
Questo Piano, di valenza pluriennale, indirizza concretamente l’attività di tutta l’Amministrazione con azioni già finanziate che saranno poi prese in carico dalle singole Direzioni del Ministero per l’attuazione. Contribuisce inoltre a catalizzare l’impiego di più fonti ed energie a favore dell’innovazione digitale, a partire dalle risorse dei Fondi Strutturali Europei (PON Istruzione 2014-2020) e dai fondi della legge 107/2015, quella appunto della Buona Scuola.
Ma con digitalizzazione non si intende solo un’innovazione di natura tecnologica, ma soprattutto epistemologica e culturale. Nessun momento educativo può infatti prescindere da una profonda interazione tra il docente e il discente, neanche la tecnologia può quindi esulare dal rapporto umano, che è fondamentale, come ha recentemente ribadito l’Ocse.
Questo Piano risponde così alle necessità dettate dall’era digitale, la necessità di costruire una nuova visione di educazione, attraverso un processo che, per la scuola, sia conforme alle nuove sfide lanciate dalla società, quindi interpretare e sostenere l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, il long life learning appunto, e in tutti contesti della vita, formali e non formali.
Si tratta innanzi tutto quindi, come abbiamo premesso, di un’azione culturale, che parte da un’idea rinnovata di scuola, intesa finalmente come spazio aperto per l’apprendimento, non più unicamente come un luogo fisico. La scuola è una piattaforma, un network, in cui gli studenti devono ritrovare tutte le condizioni per sviluppare le competenze, le cosiddette life skills.
È in questo paradigma che le tecnologie assumono un ruolo predominante, diventano abilitanti, quotidiane, ordinarie, al servizio non solo delle attività scolastiche di formazione e apprendimento, ma anche dell’amministrazione, permeando così tutti gli ambienti della scuola. Questa è la rivoluzione digitale, una trasformazione che investe ambienti, persone, strumenti, ma non gli obiettivi di apprendimento, che, seppur mantenendo le caratteristiche tradizionali dell’educazione, producono in questo modo degli effetti di gran lunga più positivi.
Si aggiungono così le competenze degli studenti, i loro apprendimenti, i loro risultati, e l’impatto che avranno nella società come individui, cittadini e professionisti futuri, una società che richiede sempre di più agilità e flessibilità mentale, competenze trasversali e un ruolo sempre più attivo da parte dei giovani. Per ottenere tutto questo è fondamentale che l’intero personale scolastico, non solo quindi i docenti ma anche i dirigenti scolastici e il personale amministrativo, si metta in gioco e venga sostenuto nella sfida all’innovazione.
Per questo nel Piano nazionale si parla di investimento culturale e umano, che è cominciato con la diffusione della Lim, con l’Azione classi 2.0 e scuole 2.0, con l’Azione Editoria digitale scolastica e con gli Accordi Miur – Regioni. Continuerà inoltre con il Piano Nazionale Banda Ultralarga, per cui il Miur ha sottoscritto una importante intesa con il Mise: entro il 2020, tutti i plessi scolastici saranno raggiunti dalla fibra ottica in via prioritaria rispetto agli altri interventi e tutte le scuole potranno così ricevere dai diversi operatori un’offerta di connettività in banda larga o ultra-larga.
L’innovazione delle scuole come vedete è un processo ormai avviato e in continua corsa, con programmi e azioni coerenti che comprendano l’accesso, gli ambienti di apprendimento, i dispositivi, le piattaforme, l’amministrazione digitale, la ricerca, la formazione e ovviamente la didattica, la metodologia e le competenze, competenze, oltre che degli studenti, dei docenti.
Proprio la formazione dei docenti infatti, orientata all’innovazione didattica e aperta a quella organizzativa, è cruciale per fare uno scatto in avanti, per tener conto dei nuovi assiomi della società 2.0. Come sottolineato nel rapporto Ocse, “è necessario tener conto di ulteriori bisogni se si vuole raggiungere una nuova e più realistica prospettiva per l’innovazione della scuola”.
Il personale deve essere ben equipaggiato per affrontare tutti i cambiamenti richiesti dalla modernità, per trasferire nella didattica elementi congrui con la realtà dei “nativi digitali” e delle nuove generazioni “mobile born”, ma soprattutto deve entrare in un nuovo state of mind, quello cioè di vivere in prima persona l’innovazione, non di subirla.
Ma per riuscire in questo bisogna in primis prendere atto dei cambiamenti che hanno investito la nostra intera società, del fatto che la scuola non è più quella della trasmissione, della somministrazione, ma quella dell’apprendimento attivo. Noi tutti dobbiamo prendere atto di questo: siamo uomini analogici in un mondo digitale.