Rimini, 23 marzo. I 19 gradi di questo inizio di primavera mi permettono di non tremare mentre sono seduto sulle scale di piazza Cavour insieme a Marcin e Adam, due ragazzi di Liskow, una città polacca di 5000 abitanti.
Si trovano a Rimini per uno stage di 4 settimane che stanno svolgendo al ristorante Amorimini. Chiedo subito cosa ne pensano di Rimini, cosa gli piace e cosa gli manca della Polonia. Adam mi risponde dicendosi colpito dalle diverse culture presenti in città e raccomanda una visita alla città vecchia, “un posto affascinante in cui il tempo sembra essersi fermato cento anni fa; inoltre è il luogo adatto per bere il tipico caffè italiano”.
Marcin si è innamorato di Rimini, “una città dove è possibile ricaricare le batterie. Mi piace fare lunghe passeggiate a Piazza Cavour, dove ci troviamo adesso, ma anche a piazza Tre Martiri o Borgo San Giuliano”. Della Polonia gli manca la famiglia e lo schabowy, la costoletta di maiale.
“E lo stage”, chiedo?
Si guardano e sorridono. Sono entrambi soddisfatti di come stanno andando le cose al ristorante, a partire dai rapporti con i colleghi con i quali ridono e scherzano durante la pausa pranzo. Con alcuni di loro si frequentano anche al di fuori del lavoro e domenica scorsa sono andati a vedere la partita del Rimini.
“Lo stage” aggiunge Adam, “mi permette di imparare cose nuove che potrò mettere in pratica in futuro. Come l’italiano, che sto cercando di imparare tra una frase in inglese e l’altra”.
E insieme a Marcin si lancia in un elenco di frasi imparate nel corso di queste due settimane: “ci vediamo dopo”, “ho capito”, “la sala è piena”, “non c’è problema” fino al sorprendente “bòna zurnèda ma tót”, (buona giornata a tutti in dialetto riminese).
Anche Marcin è molto soddisfatto dello stage che sta facendo e mi dice che gli piacerebbe restare a lavorare a Rimini.
Gli chiedo se hanno il futuro nel mirino, se i punti esclamativi vincono sui punti interrogativi colorati. Entrambi sono concentrati sulla scuola e sugli esami finali ma non gli dispiacerebbe ritornare a Rimini, un giorno. “E poi chi lo sa” mi dice Marcin in italiano. Su questa lieve, decisa indecisione, ci salutiamo con una stretta di mano e un “arrivederci” caloroso come un brindisi nel weekend.
Non sono ancora le otto e mezzo ma Rimini è onirica e magica come un film di Fellini. Prendo la bici – come la moto di Carboni, “usata ma tenuta bene”- e approfitto dei 18 gradi (la temperatura scende piano) per ammirare il debutto della primavera.
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