Portsmouth si trova nella contea dell’Hampshire, sulla costa meridionale del Regno Unito. E’ una città malinconica ma non grigia, dalla volontà d’acciaio e dal cielo intenso come un sentimento appena sbocciato.
A due ore di autobus da Londra, rappresenta un giusto compromesso per chi ama l’introspezione ma il sabato non disdegna due parole vivaci con il vicino di banco al pub: tra una moglie in attesa e un brindisi alla salute degli antichi marinai (il suo porto, l’Historic Dockyard, è uno dei più importanti della Royal Navy e custodisce 800 anni di storia navale britannica) l’euforia diventa presto una romantica nostalgia che qui, quasi mai fa rima con rimpianto ma si trasforma in una quiete camminata – stroll, da queste parti – verso casa.
E’ lunedì mattina e con un mal di testa tascabile prendo l’autobus per arrivare a Earnst Road dove ho un appuntamento con Giovanni, studente di un Istituto Alberghiero di Firenze.
Ha 17 anni e si trova a Portsmouth grazie al progetto Erasmus+.
Insieme ai suoi giovani colleghi, svolgerà un tirocinio di 3 settimane al King’s Theatre, uno dei teatri più antichi e gloriosi di Portsmouth.
Il suo ruolo? Receptionist con licenza di imparare, conoscere e approfondire inglese e persone.
Dopo un breve imbarazzo e un luuuuungo caffè con donuts, inizia a parlarmi della sua esperienza, dalla partenza senza traumi nonostante la prima volta in aereo ai primi giorni di tirocinio. Le parole si accavallano, in un misto di entusiasmo e sorpresa e si tortura la barba mentre mi racconta di questi suoi primi giorni inglesi.
Mi mostra il suo profilo Instagram: la foto davanti alla casa di Dickens al 393 di Old Commercial Road, fatta per accontentare il padre, insegnante di letteratura; il viaggio in aereo e il mondo da un oblò (ma no, Giovanni, tu Gianni Togni non lo conosci di sicuro), le facce buffe con i compagni e persino l’ansia della prof, tutto in una foto.
Portsmouth gli piace, afferrabile e umana, fredda ma non glaciale.
Non ci sono balconi e adora le case a schiera, tutto ordinato con l’ingresso utile per scrollarsi di dosso i resti della giornata appena trascorsa; e poi le chiese e il viale alberato per andare al Kings’ Theatre.
E’ affascinato persino dall’accento ostico degli abitanti e dalla loro cortesia davanti alle sue iniziali perplessità nei confronti del “vero inglese”, quello che si parla per strada e dal barbiere, quello che ti permette di capire quando sta per scoppiare una rissa ed è meglio alzare i tacchi, quello del collega che ti racconta le sue giornate movimentate.
Nel weekend, quando non va a Londra a distribuire “wow” e a raccogliere “like” (una foto davanti alla National Gallery ne vale almeno 30) prende un taxi e va al porto, dove immagina di essere il protagonista di Cuore di Tenebra, nel momento che precede la partenza.
Poi un giro per i negozi per osservare e confrontare prezzi ed esistenze, immaginare storie e tramutare instanti in istantanee.
No, la nostalgia di casa no, perché fra una settimana sarà di nuovo Firenze e “daily routine” mentre qui ogni cosa fa rima con stupore e novità.
Al King’s Theatre ha stretto amicizia con Julia, la collega scozzese che sta al botteghino. Assomiglia alla sua migliore amica e ha notato che qui, la maggior parte delle persone gli ricorda qualcuno che conosce, come se il cervello utilizzasse questo trucco per facilitargli l’ambientamento.
Tra una pausa e l’altra Julia gli corregge la pronuncia, in cambio Giovanni le insegna alcune frasi in italiano. “Siamo solo amici”, assicura mentre distoglie lo sguardo, anche perché “ho la valigia piena e l’amore non ci entrerebbe”. Sorrido e, mentre ordino un altro caffè, in segreto gli invidio la spavalderia.
Siamo qui da due ore ed è il momento di salutarci. Insieme a lui aspetto l’autobus che arriva con la solita ammirevole precisione britannica.
Ci stringiamo la mano con un convinto “see you later”, poi un ultimo cenno di intesa mentre lo vedo sparire tra le porte del double decker bus, ultima fermata King’s Theatre, direzione FUTURO.
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