“Non si può non comunicare”. È questo il primo assioma della comunicazione eloquentemente sintetizzato nel 1967 da Paul Watzlawick nell’opera “Pragmatica della comunicazione umana”, un manuale che ancora oggi costituisce il principale punto di riferimento nel mondo delle relazioni interpersonali.
L’influente Scuola di Palo Alto, di cui lo psicologo austriaco rappresentava il principale esponente, si focalizzò infatti sullo studio della pragmatica, il settore della comunicazione che si occupa di indagare gli effetti che essa ha sui parlanti attraverso l’influenza esercitata sui loro comportamenti.
Partendo da una concezione della mente come “scatola nera” che non consente di esplorare i meandri della psiche umana, Watzlawick e colleghi credevano che, per indagare nella mente dell’uomo, fosse necessario analizzare e comprendere lo scambio di informazioni realizzato tra due o più individui all’interno di un processo comunicativo in costante evoluzione.
Pertanto, considerando centrale il ruolo delle relazioni, gli studiosi di Palo Alto arrivarono a stabilire che qualsiasi azione compiuta da un individuo fosse portatrice di un significato, implicito o esplicito, comunicato agli altri soggetti protagonisti dell’interazione.
Indipendentemente dall’intenzionalità dell’individuo, quindi, qualsiasi comportamento umano esprime qualcosa, facendo sì che non può esistere una non-comunicazione perché non può esistere un non-comportamento.
Alla luce di tali considerazioni, anche i silenzi assumono valore di messaggio, rivelando ad esempio, all’interno di una situazione comunicativa, l’intenzione dell’interlocutore a non voler comunicare o, ancor di più, a esprimere uno stato d’animo poco propenso all’interazione.
Ciò significa che nel complesso processo comunicativo necessario a tutti gli esseri umani per sopravvivere, la comunicazione verbale non è sufficiente a realizzare un rapporto relazionale completo, ma è necessaria la presenza di altri due fondamentali livelli comunicativi in grado di esprimere e comunicare le emozioni al di là di una semplice denotazione della realtà.
La comunicazione non verbale e il linguaggio paraverbale rappresentano, infatti, il canale principale per veicolare le tonalità affettive della comunicazione e il grado di comprensione delle informazioni ricevute.
Come evidenziato dallo psicologo statunitense Albert Mehrabian in uno studio condotto alla fine degli anni Sessanta, l’efficacia di una comunicazione dipende soltanto per il 7% dal contenuto verbale, mentre la comunicazione non verbale, realizzata attraverso la postura, i movimenti e gli aspetti estetici, vi incide per il 55% e gli aspetti paraverbali, ovvero “il modo in cui si parla”, per il restante 38%.
La perfetta sinergia di questi tre livelli di comunicazione diventa fondamentale quando si vuol realizzare una prova di public speaking efficace, attraverso cui catturare l’attenzione del pubblico e presentare contenuti convincenti.
Una postura sbagliata o un tono della voce incerto possono infatti trasmettere all’audience un’immagine sbagliata dello speaker, inficiando la buona riuscita della sua performance oratoria, indipendentemente dai contenuti presentati.
È per questo che diventa fondamentale conoscere tutte quelle tecniche comunicative necessarie a realizzare una comunicazione vincente e avvincente, magari carpendo trucchi e segreti da quegli uomini che hanno fatto la storia grazie ai loro discorsi.
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