TITOLO – Lettera a un bambino mai nato.
AUTORE – Oriana Fallaci.
CASA EDITRICE – best Bur.
ANNO DI PUBBLICAZIONE – 1975.
GENERE – Epistolario.
TRAMA E COMMENTO.
Una goccia di vita scappata dal nulla, un frammento animato fuggito dal buio, uno squarcio di luce tra le ombre dell’inesistenza. Tutto ciò che è vivo è stato in principio soltanto una speranza di quello che poteva essere, ma il tempo lo ha nutrito, forgiandolo lentamente, riempiendolo di essenza vitale e trasformandolo in un essere vivente, che interagisce e comprende, si muove per poi arrestarsi e cerca costantemente di appigliarsi ad altre fonti di vita per non cadere nell’oscurità della solitudine, simile a quella del nulla e della morte, ma prigione di coloro che sono nati.
Sebbene l’esistenza di ciascuno sia una singolare ricchezza e l’unica possibilità a noi concessa per plasmare la nostra anima, nel libro di Oriana Fallaci traspare l’inquietudine e l’angoscia, alternate da momenti di rassegnazione e sollievo, di una donna in attesa, che porta in grembo un bambino non desiderato, come un fardello, per lei origine di dubbi e ripensamenti. Di fronte ad una nuova vita che comincia a palpitare dentro di sé ella perde ogni certezza, la sua mente inizia a vagare senza tregua e la porta a dubitare di ogni respiro emesso dall’uomo, ad esaminare la società nella quale siamo inseriti e a realizzare quanto questa possa condizionare la nostra esistenza.
L’interrogativo della sua nascita la porta ad elaborare un complesso monologo, in cui analizza il mondo nei suoi aspetti più cruenti, ed assillantemente si domanda se nascere non sia una condanna, un’imposizione alla quale non ci si può sottrarre, un continuo rimpianto del tempo in cui il niente attanagliava, la gioia e la disperazione non avevano forma, eravamo al sicuro, lontani da ingiustizie, delusioni e sottomissioni. La vita è una battaglia senza tregua, alla quale veniamo sottoposti prematuramente, ci ritroviamo a fronteggiare situazioni e persone che lasciano privi di forze, avviliti e sconfitti, deboli e piccoli dinnanzi all’immensità dalla quale siamo strinti.
L’unico modo per sopravvivere, e non essere oppressi, è forse battersi per un valido motivo, sostenere tenacemente i propri ideali, come l’aspirazione alla libertà e alla giustizia, che rende consapevoli della sofferenza e sprona a porvi fine. E’ la stessa ambizione della donna che, nell’Italia degli anni ’70, con le prime ribellioni femministe, inizia a svincolarsi dagli schemi tradizionali e dalle costrizioni morali di un Paese che la incatena ad un’immagine immutabile della donna-moglie, donna-custode della casa e della famiglia, donna-madre per istinto.
La protagonista del libro è al contrario una donna-pensante, lontana dal bigottismo e dal conformismo, ma ancora vittima di questi ultimi: le assomiglia qualsiasi donna che vive sola, lavora e ragiona e proprio per questo motivo non ha un volto, un nome, un indirizzo, un’età. Accorgendosi di essere incinta, protesta, tormentata e corrotta dal dubbio se sia giusto dare la vita e rinunciare alla propria libertà, poiché essere madre non è un mestiere e nemmeno un dovere, è solo “un diritto fra i tanti diritti”.
Nonostante quest’affermazione, è straziata da innumerevoli interrogativi che si pone nel corso della missiva toccante e al contempo provocatoria, caratterizzata da uno stile altalenante che raggiunge ora momenti di crudo realismo, ora di alto lirismo, rivolta all’essere che giace e si fa spazio in lei.
Il monologo diviene velocemente una confessione di una donna forte ed impaurita al proprio figlio, che le impone una metamorfosi in madre e mentre questo dramma matura si aggiungono altri personaggi, tutti testimoni incoscienti di questo rapporto fatto di rabbia ed amore che arriva all’accettazione della maternità, considerata una dolorosa necessità per le donne che credono nella vita ma soffrono nel darla.
Essere madre diventa una scelta responsabile, enfatizzata dalla ricerca di approvazione da parte della società e snaturata dal disagio esistenziale che assale una donna indipendente, che ha appena raggiunto un equilibrio e la cui coscienza le impone un ruolo importante e spesso devastante.