Potete leggere la prima parte qui.
“Improbe amor, quid non mortali pectore cogis”, un amore ingiusto, un amore crudele, un amore che brucia in tutta la sua ferocia, un amore non corrisposto.
Sole, ripongono nell’amore la loro unica speranza di salvezza, illudendosi di poter tornare alla vita, diventando anime in movimento, ma si tratta di una condizione illusoria, un momentaneo sollievo che le renderà, alla fine, ancora più isolate, circondate dal nulla e dall’angoscia. Tale condizione in Didone viene esasperata, provocando in lei la rottura di un equilibrio e un turbamento così profondo che sarà per lei impossibile tornare indietro. L’inaspettato arrivo di Enea, la coglie in una condizione di perfetta stabilità, nella quale ella aveva costruito la propria dimensione, silenziosa, sofferta, apparentemente inalterabile.
Didone aveva già conosciuto le sofferenze di un amore perduto, interrotto bruscamente dalla morte di Sicheo, avvenuta per mano del fratello e proprio dalle ceneri del marito aveva forgiato una nuova se’, aveva rinunciato all’amore giurandogli fedeltà eterna ed in nome di questo patto aveva respinto molti pretendenti. Enea, avvolto dal fascino dello straniero, riesce a infrangere questa torre di solide certezze nella quale regnava regale Didone e prima che questa se ne accorga, inconsapevolmente si trova nuda e fragile di fronte ad una passione alla quale cede completamente e alla quale si sacrifica, abbandonandosi ai sentimenti. Ma un “cieco fuoco” la divora dentro, quello di Didone è un amore esasperato fin dal principio, causato dalla rinuncia del “pudor” quasi divino che la caratterizzava, travolta dal “furor” di una bruciante passione che la rende fragile e indifesa, ora priva di qualsiasi protezione. Lentamente Didone viene sopraffatta dall’amore, incontrollato e avventato, l’ha resa oggetto debole, ma la momentanea felicità celata negli attimi di incontro tra lei ed Enea, ha mascherato la sua natura, non dandole il tempo di ricreare il precedente equilibrio lasciandola impreparata di fronte all’abbandono da parte dell’eroe Troiano. Una disperazione senza pari, che lacera il cuore della regina, infondendole un dolore così straziante che nessuna consolazione può attenuare; condizione diversa da quella di Andromaca, che dopo aver visto Ettore allontanarsi, non abbandona il suo ruolo di moglie e di madre, a lei è concesso continuare ad amare e ha la possibilità di incrociare lo sguardo del marito in quello del figlio. Didone, invece, vede negarsi l’amore ed insieme ad esso qualunque legame con Enea destinato a svanire con la partenza dell’eroe.
“Almeno se stringessi fra le braccia un figlio avuto da te prima della fuga, se giocasse con me un piccolo Enea che almeno richiamasse te nel volto certo non mi sentirei sorpresa e abbandonata del tutto”. Ma Enea è ormai lontano lasciandola sola con i suoi rimpianti e sminuendo l’amore di Didone.
“Né mai proffersi fiaccole nuziali o giunsi a questi legami”: trafitta da queste parole, con le quali Enea uccide la sua ’anima, Didone non trova altra fuga se non la morte, dolorosa e agonizzante ma unica soluzione al pudore perduto, al rimpianto per il giuramento infranto, al cuore spezzato. Ecco che torna il nulla, nel quale si perde, spaventata, cercando invano qualunque cosa alla quale aggrapparsi per non sprofondare in quel mare color vino. Il suo spirito è già morto, sebbene intrappolato nel corpo, il cuore continua a battere. Questa condizione la conduce alla perdita della ragione, poiché nulla è più possibile e, smarrite le certezze, vivere è diventato per la regina un pesante fardello e freme la sua anima di sciogliersi dal corpo, librandosi nell’aria e confondendosi con il vento. Vuole quindi spezzare ogni legame che la tiene prigioniera nel tempo e giungere al nulla dove questa volta neanche il cuore potrà ostacolare la quiete.
Didone sceglierà di togliersi la vita e sarà proprio la spada di Enea a trafiggere il suo cuore che l’eroe aveva già dilaniato. Unica soluzione all’amore perduto è la morte, dove i sentimenti non rendono deboli, la mente torna libera ed il cuore leggero, nessuna sofferenza, nessun’emozione. L’anima continua a fluttuare per poi fondersi con quell’onda che conduce lontano l’ amore, quel mare, inizio e fine di ogni illusione, ponte e muro, dove tanti occhi si sono posati, alla disperata ricerca della nave ormai distante, portatrice di un momentaneo sollievo ed un funesto amore.