Il migliore genere di amico

Il miglior genere d’amico è quello con cui ti puoi sedere sotto un portico senza dire mai una parola, e a poco a poco sentirti come se avessi fatto...

Il miglior genere d’amico è quello con cui ti puoi sedere sotto un portico senza dire mai una parola, e a poco a poco sentirti come se avessi fatto la più bella conversazione del mondo.
Anonimo

Il giorno che davanti al mio portone vidi quattro ragazzi che si avvicinavano nella mia direzione, non potevo ancora immaginare quanto saremo diventati amici. Mi dissero che gli era stato detto di venire lì e mi chiesero se ero io la ragazza che doveva accompagnarli in ufficio. Risposi di sì e ci incamminammo. Mi dissero che dovevamo essere in ufficio per le dieci. E, mea culpa, ce la prendemmo con calma. Quando arrivai in ufficio, scoprii che dovevamo essere lì per le nove, che loro si ricordavano male e che io non avevo letto il programma. Quel giorno capii che quando lavori, devi sì fidarti, ma devi renderti bene conto tu stesso delle cose che ci sono da fare, una realtà semplice e che forse credevo già di sapere, ma evidentemente, non era così. Comunque Alfio e Gaspare abitavano in un appartamento accanto al mio, Pietro e Ciccio l’appartamento sotto il mio. Eravamo praticamente vicini di casa. La cosa che ricordo con più nostalgia è la finestra di Alfio e Gaspare; affacciava sul marciapiede, quasi ad altezza uomo. Quando tornavo da lavoro, passavo sempre da sotto la finestra, per vedere se erano lì. Li chiamavo ed Alfio mi apriva la porta. Ricordo che Gaspare se ne stava un po’ più per i fatti suoi, io e Alfio invece stavamo in cucina e parlavamo. Parlavamo di tutto, ora che ci penso, ci siamo detti così tante cose…

Non dimenticherò mai gli occhi e lo sguardo con cui Alfio guardava a tutte le cose, erano profondi ed energici e a volte, quando mi mancava, infondeva un bel po’ di energia anche a me. La sera cenavamo tutti insieme, Alfio si dava a degli esperimenti culinari anti-dieta, mentre noi stavamo al tavolo a ridere di un sacco di cose. Stavo bene con loro, mi sentivo protetta come fossero i miei fratelli maggiori, sapevo che se ne avessi avuto bisogno, ci sarebbero stati.

In ufficio le cose andavano bene, mi piaceva tutto, specie incontrare le persone che venivano, i ragazzi che avevano bisogno di aiuto o che dovevano prepararsi al colloquio. Mi piaceva accoglierli, fare amicizia, preparargli il caffè e sedermi con loro. Mi piaceva anche tanto accompagnarli al colloquio. Era tutto, sempre, un continuo mettermi alla prova.

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