Il viaggio: dall’iter come spostamento materiale all’interiorizzazione della meta – seconda parte

Nell’ambito della Quarantacinquesima edizione del Premio Letterario Basilicata, è stato bandito per la seconda volta un concorso letterario riservato agli studenti degli Istituti di Istruzione Secondaria Superiore della Basilicata....

Nell’ambito della Quarantacinquesima edizione del Premio Letterario Basilicata, è stato bandito per la seconda volta un concorso letterario riservato agli studenti degli Istituti di Istruzione Secondaria Superiore della Basilicata.
Michele Di Bello è tra gli 8 vincitori di questa edizione, con il tema Il viaggio: dall’iter come spostamento materiale all’interiorizzazione della meta.

Di seguito vi proponiamo la seconda parte (qui trovate la prima) del suo componimento. Buona lettura!

“Lascia i tuoi luoghi e cerca altri lidi, o giovane, e ti si apriranno più vasti orizzonti”

II Parte

Viaggio che può concludersi con un lieto fine, con un sereno ritorno in patria, con la fine del viaggiatore e il collasso dei propri obiettivi, con la perdizione oppure un cambiamento nel suo animo. Può essere viaggio ardentemente desiderato, ma anche imposizione, che, pur rivelandosi necessaria e inevitabile, non è scelta dal viaggiatore. E’ Enea, il pius virgiliano, a personificare tale accezione di viaggio: “fato profugus” è l’eroe, ossia esule per volere di una forza maggiore che ha già stabilito il suo destino e si appresta ad imporne la concretizzazione. La forza maggiore che spinge Enea alla fondazione di una nuova città sulle sponde del Lazio non può essere controllata ed evitata da lui; a differenza del fuoco che bruciava nel petto di Odisseo e lo metteva in viaggio, Enea “subisce” le imposizioni della sfera divina, che rispetta e onora, dunque la motivazione del suo iter è tutta esterna e non lo interesserebbe se gli dei non lo avessero insignito del titolo di pater, il padre inteso come fondatore, etichetta che lo vincola e che sin dalla sua prima comparsa focalizza l’attenzione sulla sua ben precisa funzione.

A partire dal loro primo inquadramento, Odisseo polytropos ed Enea pius già implicitamente rivelano il fine dei rispettivi “spostamenti”: l’uno è da ricercarsi nella sete di conoscenza dell’eroe, l’altro in un progetto superiore e in un piano, o sentiero già tracciato, che Enea, obbediente, deve assecondare nelle sue varie richieste, dall’abbellimento di un altare alla facoltà, solo dopo la morte di Anchise, di interpretare e consultare gli oracoli divini, di prendere parola e di intercedere a favore del suo popolo. Celato dietro il fine encomiastico, comunque mai depotenziato nell’opera, di una città e di una civiltà, quella latina, e di un princeps, Ottaviano Augusto, si ripropone lo stesso tema delle peregrinazioni, lette dagli occhi del poeta Virgilio, che si soffermerà ed effettuerà la sua ripresa della tematica con sguardo tutto latino, ma prendendo spunto sempre da Omero, o da chi per lui aveva già, in ventiquattro canti, dedicato un’intero capitolo della sua vita al racconto del viaggio. Infatti, seppur forzando le dinamiche temporali, costituendo così le note incongruenze dell’opera, Virgilio manifesta l’intenzione di far intrecciare in un punto delle loro avventure l’itinerario di Odisseo con quello di Enea, nella terra dei Ciclopi. Questo si spiega immaginando che l’autore Virgilio avesse riscontrato in Odisseo il prototipo del viaggiatore e riconosciuto l’universalità del tema odissiaco. Enea, distante da Odisseo per civiltà e quindi per codice di comportamento, ricalca in qualche modo le tracce del primo esule, confermando ulteriormente la tesi per cui “ognuno viaggia”. Talvolta il viaggio è inteso invece non come presupposto per l’ottenimento di una qualche “ricompensa”, né come obbligo o dovere, né tantomeno come piacere, ma come fuga da un mondo di cui l’uomo non si sente più padrone.

E’ il pensiero che coglie la mente dell’uomo a cavallo tra 1800 e 1900, periodo di grande innovazione sotto tutti i punti di vista (tecnologico, scientifico, psicanalitico…) e di grande espressione e quindi apertura culturale delle arti. In questo scenario innovativo e progressivo, si fa strada però nell’uomo la convinzione di essere sempre più alienato, e parte anonima di una folla chiassosa e massificata. Tale convinzione porta l’uomo a prendere la direzione opposta di Odisseo e di Enea, preferendo, alla ricerca di risposte nel mondo esterno, una chiusura in se stesso e un ripiego verso la propria psiche, che diventa viaggio introspettivo che coinvolge la parte più recondita e intima dell’anima. Di fronte alle “costruzioni” di una società che gli appare falsa, l’uomo perde le sue certezze che, costruite in base al pensiero di altri, adesso, periodo di cambiamento e di insicurezza, crollano e l’uomo stesso “decade”. Nel pensiero della corrente che analizza a fondo questa situazione di “esule da sé” il viaggio che l’uomo compie è tutto introspettivo. Persa la fiducia in “lumi” ormai spenti, affievolitisi anche gli echi del rassicurante mondo classico, l’uomo non guarda al passato, è solo intrappolato nelle gabbie di una società tutta calata nel presente, un tempo inteso come soffocante prigione, da cui l’uomo tenta di evadere “sfumando” i propri contorni e fuoriuscendo dalla cappa di un camino (Aldo Palazzeschi, Il codice di Perelà). L’uomo non è forma né vana apparenza, nel tentativo di recuperare la propria identità diventa flusso di coscienza, pura essenza in cerca di un corpo in cui materializzarsi e di una giusta caratterizzazione.

Il viaggio come evasione da una condizione di disagio che è leggibile in tutte le arti del periodo, si configura come abbandono dei propri connotati o comunque sia della dimensione presente poco soddisfacente e non pienamente rappresentativa di sé e ricerca intimistica di risposte ad una crisi che è l’uomo a provocare e di cui egli stesso subisce le conseguenze. Il viaggio è completamente parte di lui e lo investe come una nuvola di fumo, confondendolo di più, ma non è questo un itinerario che conosce biglietti, valigie o orari di partenza e di ritorno, anzi è ancor di più virtuale allontanamento dalla dimensione iniziale per rifuggirla, un viaggio tutto psicologico che molto spesso si conclude con le risposte alla sua condizione di estraneo da se stesso e dal suo tempo più distanti tra loro che l’uomo è riuscito a trovare: la soluzione è che non esiste soluzione, non c’è risposta a questo disagio che si impadronisce di lui. La razionalità di Odisseo e la pietas di Enea non sono le chiavi per sbloccare la serratura oltre la quale si celano le risposte dell’uomo contemporaneo. In effetti, al termine del percorso talvolta psicotico che l’essere umano intraprende, si cela una dimensione relativa che può ricondurre al punto di partenza: non si può risolvere qualcosa che bisogna limitarsi ad interpretare. Comunicano questo l’inetto Zeno Cosini, il Fu Mattia Pascal, il cervellotico Vitangelo Moscarda: tutti nel tentativo di capire quale sia l’effettiva percezione che gli altri hanno di loro, quale la loro vera essenza e quale sia la loro stessa percezione di sé.

Il caso più lampante di allontanamento da un mondo che non si può più governare e in cui l’uomo perde il primitivo ruolo di dominatore della realtà e soprattutto della propria esistenza, e sterile tentativo di recupero, fallita la creazione di un altro , della dimensione originaria, è forse la vicenda di Mattia Pascal che, attraverso un viaggio in cui matura in lui la convinzione di tutta la sua inconsistenza di persona, che è più simile ad un’ombra, e passando attraverso identità fittizie diverse, ritorna al punto di partenza, con la sorpresa però di una situazione totalmente mutata al suo ritorno. Nella sua assenza Mattia Pascal ha dato infatti modo alle persone del suo paese di capacitarsi della sua assenza e di continuare a vivere. Non può più, quindi, ritornare allo stadio iniziale, ed è per questo che Pirandello premette Fu al nome della sua creazione letteraria. Letto in chiave decadente, anche il viaggio di Odisseo, ripreso con le armi dell’autore contemporaneo Luigi Malerba (Itaca per sempre), può rappresentare la condizione dell’uomo come estraneo da sé e dal suo mondo. Infatti al ritorno dal suo viaggio egli trova una dimensione totalmente diversa da come egli ricordava. Itaca è caduta nella trascuratezza, e i Proci sperperando le sue ricchezze insidiano la moglie Penelope. Ma mentre Odisseo recupererà il suo ruolo e il suo titolo, da perfetto eroe ellenico mai dubbioso della sua identità e sicuro di sé, Mattia Pascal non riuscirà e reinserirsi in quelle convenzioni che, seppur opprimendolo, gli consentivano di esistere.

Da uomo ad ombra, il viaggio dell’eroe decadente è simile ad un viaggio verso la dimensione del non ritorno, il trionfo dell’ignoto e dell’insicurezza sul concetto di “identità stabile”, le cui tappe, sfumate e indefinite, non gli hanno rivelato la sua vera identità, quanto l’amara convinzione di una realtà destinata man mano a perdere la sua originalità. Anche i viaggi in città di Marcovaldo, paladino calviniano dell’omonima raccolta di novelle, possono essere intesi come volontà di fuoriuscita dai vincoli e dal grigiore della realtà per rifugiarsi in una dimensione che solo l’uomo può tentare di conoscere e di ricostruire secondo le logiche della sua fantasia, ma di cui comunque non afferra mai un senso univoco. Risposta quasi esauriente a tutti questi esperimenti è che il viaggio introspettivo alla ricerca di un’identità non restituisce né plasma l’identità stessa dell’uomo contemporaneo: solo gli restituisce l’infinità di sentieri che egli può prendere e ne sconvolge la realtà, impossibile da interpretare a pieno. Il viaggio, come la vita, è dimensione in divenire, mutevole e inafferrabile, e l’identità dell’uomo è indefinibile, proprio perché, per stessa ammissione di Pirandello, l’uomo non conclude e c’è sempre un successivo sviluppo che può ribaltare le effimere e mistificate convinzioni che egli aveva creato solo poco prima.

L’insicurezza e la necessità di evadere da un mondo che non soddisfa a pieno i nostri bisogni, ma intrappola le nostre aspettative e speranze di miglioramento è alla base del fenomeno contemporaneo dell’immigrazione, paragonabile al viaggio dell’esule che fugge dalla propria casa per rifugiarsi altrove. Senza una meta e con un bagaglio di sogni e speranze si avvia l’immigrato, su un’imbarcazione di fortuna, assieme a persone che come lui sono state costrette dalle difficoltà della propria terra ad abbandonarla. E’ viaggio di necessità, in cui, insieme alle speranze di una vita migliore, c’è la curiosità verso un “mondo nuovo”, magari molto più soddisfacente e sicuro del precedente. L’esule, proiettando nella dimensione della fuga dal proprio “lido” la speranza di poter godere dello spettacolo di un orizzonte migliore e compendiando dunque necessità materiali ma anche individuali e intimistiche, incarna contemporaneamente l’ansia della scoperta propria di Odisseo, la ricerca del decadente di una nuova identità e quella di Enea di un luogo dove finalmente sviluppare radici solide, riproponendo in chiave moderna l’itinerario degli eroi dell’epica e di quelli decadenti, dimostrando di essere la somma di tanti aspetti diversi del viaggio, colti dalla letteratura in momenti distinti e dati per contrapposti.

L’immigrato, cercando il suo orizzonte, è l’ultimo dei protagonisti delle opere incentrate sul viaggio, quello che in un mondo a colori e a tre dimensioni, ha il ruolo di trovare un filo conduttore che parta da Odisseo e tocchi la modernità più recente, riuscendoci. L’esule, che esce dall’opera calandosi nella nostra realtà, è il mezzo attraverso cui prende forma l’unione tra il viaggio geografico e quello introspettivo. Nella sua mappa si tracciano infatti due percorsi diversi: il primo verso un suolo che è traguardo di un così lungo viaggio, il secondo, volto alla scoperta di se stesso. Laddove finisce lo spostamento fisico, inizia il viaggio interiore, immateriale, che coinvolge la sua sfera più intima e ne mette alla prova le risorse mutando il suo animo. Che sia viaggio di curiosità o di fuga, d’obbligo o necessità, una “catabasi” nel regno degli Inferi (Odissea; Eneide) di piacere o svago oppure di scoperta, viaggio alla ricerca di una risposta, viaggio di un pellegrino oppure di un pirata, ritorno a casa oppure desiderio di lasciarsi alle spalle il passato, il viaggio per una missione o per infinite altre spinte dell’animo umano, c’è un elemento che li accomuna. Perché, spettatore di tutti i sogni, delle paure e delle necessità, è il mare, caricato da sempre di significati allegorici e metaforici, lastra azzurra e scintillante e talvolta nero presagio di tempesta; è il veicolo principale degli spostamenti del viaggiatore, scenario del vagabondaggio e dimensione dell’ignoto.

L’uomo, viaggiando in mare, sfida i limiti del conoscibile, tentando di svelare le diversità di un mondo senza confini. Il mare è ponte e collegamento, tocca con le sue onde e le sue maree le coste di diversi paesi contemporaneamente, erode la costa e muta il viaggiatore. L’uomo è attratto fortemente dal mare in quanto ne rispecchia alcuni aspetti: così come l’anima, tinta di diverse sfumature cromatiche e oscillante ed instabile bilancia mai completamente in equilibrio, anche il mare “senza strade e senza spiegazioni” (Alessandro Baricco, Oceano mare) rappresenta una dimensione troppo vasta e in cui si rischia di perdersi che non contempla un solo itinerario ed un’onda basta a stravolgere il piano di navigazione, ed è solo la bussola interiore del viaggiatore davvero capace di leggere nel suo animo e orientarlo verso la giusta meta.

Categories
Talking about_Italiano
No Comment

Leave a Reply

*

*

RELATED BY