Le nostre valigie logore erano di nuovo ammucchiate sul marciapiede;
avevano altro e più lungo cammino da percorrere .
Ma non importa, la strada è la vita.”
Jack Kerouac, da “Sulla strada”
Il diciotto luglio duemilasedici è il giorno della mia partenza per Berlino. Il primo ricordo che ho di quel giorno è me seduta al tavolo di un bar che leggo mentre aspetto Berardino e Franco. Poi qualche flash: io che mi infilo in macchina, la fermata alla pompa di benzina, qualche messaggio a mia madre.
Ciò che ricordo con un’incredibile chiarezza è il mio stato d’animo durante il viaggio. So essere, a volte, un tipo particolarmente silenzioso, e quello fu un caso esemplare della mia capacità di silenzio. Non riuscivo a pensare ad altro che a Berlino, al lavoro che avrei dovuto svolgere, alle persone che avrei incontrato, e mi sono sentita molto piccola. Subito mi accadde ciò che accade a tutti quando si sentono molto piccoli: ho cominciato a sentire la voglia di essere di nuovo nella mia “zona di comfort”, mista alla forte adrenalina data dal senso dell’ignoto.
E’ con questa sensazione che entro nell’aeroporto di Napoli. Dopo i controlli di routine, ci fermiamo a mangiare qualcosa. Lì avverto che già mi sono abituata alla presenza di Berardino e Franco, ma dopo poco dobbiamo salutarci. Resto davanti all’imbarco per Berlino, mentre li vedo man mano allontanarsi.
Ecco, ora dovevo davvero incominciare a contare su di me come fanno le persone adulte: sapere che gli altri esistono e che alcuni di loro sono anche disposti ad aiutarti, ma sapere che sei tu il vero difensore di te stesso. Quel pensiero era bellissimo.
L’aeroporto di Schoenefeld è, paradossalmente, l’anti-Germania: quanto la Germania è pulita, ordinata, organizzata, tanto Schoenefeld è sporco e caotico. E’ qui che aspetto Denitsa mentre immagino il suo aspetto e il suo carattere: sarà alta, tonda, magra, bionda, bruna, simpatica, antipatica? E’ una delle cose che amo di più nei viaggi. Un momento prima non hai idea dell’esistenza di qualcuno, un momento dopo quel qualcuno diventa un compagno di avventura. Ma quando arriva Denitsa mi accorgo di aver già conosciuto il suo bel viso solare l’anno scorso, quando ero venuta a Berlino in un progetto della scuola. Questo mi dà sicurezza, come mi dà sicurezza la conversazione durante il viaggio in treno verso Alt-Moabit. Denitsa ha un modo di parlare calmo ed energico allo stesso tempo, è interessata a capire cosa faccio nella vita, cosa mi piace fare e quali sono i miei progetti. Non è questa l’essenza dell’accoglienza?
Appena Denitsa se ne va dal mio appartamento, rifletto su come renderlo il più possibile accogliente. Il mondo esterno, e in modo particolare mia madre, ha sempre avuto scarsissima fiducia nelle mie abilità casalinghe. Volevo dimostrare a me stessa che si sbagliava. Comincio a pulire e a sistemare le mie cose, poi la chiamata Skype a mie genitori, come d’accordi presi. La sera vado a dormire con una strana ansia nel cuore: mi sarei trovata bene a lavoro? Sarei stata capace? E i miei colleghi come sarebbero stati?
Ma questa è un’altra storia e per giunta un poco lunga. Mi sa che ve la racconto la prossima volta…
Valeria Caputo
Trainee a Berlink