Leggere senza confini: “Storia Vera” di Luciano di Samosata – Parte II

Constatata la distanza tra la poesia incantata e celebrativa di Omero e quella diretta e maliziosa di Luciano, occorre notare le somiglianze, invece, tra le scene del suo romanzo...

Constatata la distanza tra la poesia incantata e celebrativa di Omero e quella diretta e maliziosa di Luciano, occorre notare le somiglianze, invece, tra le scene del suo romanzo e quelle degli autori d’avventura dello spessore di Collodi. In effetti, la scena in cui Luciano e la sua compagnia vengono inghiottiti dalla balena è la “madre” del più famoso episodio del Pesce-cane che divora il burattino Pinocchio, protagonista del romanzo di Carlo Collodi “Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino”. Così come merita attenzione l’importanza della scena dello sbarco sulla Luna che ha influenzato Ludovico Ariosto nel tratteggiare l’episodio di Astolfo, fedele al paladino Orlando, giunto fin sulla Luna per recuperare il senno perduto dell’amico.

Inoltre, per arricchire la sua ricostruzione del viaggio, Luciano non esita a fare la parodia di personaggi che rivestono nell’epica alta importanza morale e si ricollegano alla sfera ideologica del mito che alimenta le più importanti tragedie sofoclee, euripidee ed eschilee: il caso di Aiace, una questione di onore perduto (timè) che sfocia in un suicidio catartico alla riconquista della propria dignità, viene rovesciato in Storia vera in una indecorosa diagnosi di pazzia, con conseguente dubbia legittimità di figurare tra gli eroi, ed indegno affidamento alle cure di un medico.

Nella descrizione del suo Oltretomba, anche Luciano, in accodo con la tradizione mitica, cita i Campi Elisi come sede dei Beati: locus amoenus proprio come nell’Eneide virgiliana.

Pur in modo molto più sintetico e senza dovizia di particolari rispetto ai giochi funebri in onore di Patroclo (Iliade, XXIII) e a quelli in onore di Anchise (Eneide, V), anche Luciano, con il nome di “Funeraliadi”, prende a descrivere una serie di gare di cui riporta però solo gli avvenimenti principali.

Di nuovo partecipanti alle gare, tornano nella Storia Odisseo ed Epeo.

A fare da parodia al verso iniziale dell’Odissea, Luciano inserisce nella sua opera il primo verso di un terzo poema omerico affidatogli proprio dal poeta, purtroppo perso: “Ed ora cantami, o Musa, la battaglia dei defunti eroi”. Di simile all’incipit dell’Odissea, solo l’invocazione alla Musa e l’imperativo, con tematiche però in primis già antitetiche: “l’uomo” (Ἄνδρα) e “i defunti eroi” (νεκὺων ηρώων).

Il guardiano dell’Oltretomba lucianeo è Timone l’Ateniese, che ricorda l’omerico traghettatore di anime Caronte, nell’atto di dover chiedere il permesso per guadare il fiume infernale. Lo spettacolo che Luciano si trova davanti non è molto diverso da quello di Dante nella Divina Commedia: una serie di peccatori e di punizioni tremende, molto spesso che hanno a che fare con il fuoco, ritenuto purificatore. Ma Luciano, a differenza di Dante, non si dilunga sulla “legge del contrappasso” o sulla descrizione attenta delle pene, va dritto al suo scopo: evidenziare come, in ogni caso, a subire la pena peggiore sono sempre i suoi avversari, gli storiografi ipocriti, tra cui Erodoto e Ctesia di Cnido.

Inoltre, vi è anche una ripresa del tema del Sogno e delle sue porte: due nell’Odissea (di corno e di avorio), quattro per precisazione di Luciano in Storia vera (di corno, di avorio, di ferro e di terracotta). Luciano e gli altri passano per quella di di avorio, pertanto il suo, secondo le definizioni di Omero, sarebbe un sogno fallace.

Giudizi critici: La curiosità maliziosa di Luciano e la sua spietata e furba parodia sono armi vincenti contro il nemico che vuole abbattere: la falsità. E tradisce il suo intento già titolando la sua opera Storia vera: Ἀληθῆ non a caso, poiché dovendo porsi in contrasto con il lungo corteo di scrittori che hanno perso il gusto di raccontare (διηγέομαι), più che mai c’è bisogno di essere veri, autentici. La sua, in effetti, è un’inopinabile e valida ricostruzione storica. Nella descrizione c’è lucidità, nelle narrazioni disincanto, e quel distaccato e cauto rapporto che ogni bravo storiografo deve necessariamente avere con il corpus di eventi che ha da riportare. A questo punto, che la storia sia davvero accaduta oppure no, che sia d’argomento avventuroso oppure amoroso, non ha più importanza: è la seconda lettura, quella più profonda, dell’opera, che restituisce il suo “vero” significato, scandagliando le analisi storiche del racconto che Luciano compie e raggiunge attraverso un mezzo all’apparenza leggero ma in realtà molto delicato: la parodia. Filtrato attraverso lo sguardo della parodia che travolge nel suo iperbolico gioco mito e realtà, il romanzo assume i toni di un resoconto storico di un viaggio che, seppur non realmente avvenuto, vuole essere paradossalmente d’esempio e di burla per tutti gli storiografi che vogliano scrivere una storia sincera come si deve. Al di là del semplice esercizio retorico che in tutte le opere di Luciano sussiste come una palestra linguistica per l’autore di continuo miglioramento della sua arte, raggiunge la verità usando bene i suoi mezzi. Lo studio della tecnica storiografica e la messa a fuoco delle modalità di racconto giovano a Luciano, e solo un esperto come lui può concedersi un gioco letterario come la Storia vera. La scaltrezza dell’autore addirittura vuole superare Omero, Erodoto, in abilità narrativa, e ci riesce proprio con quella versatilità linguistica e diegetica che possiede tutta e che gli consente di compendiare un argomento avventuroso-fantastico con uno stile narrativo completamente storico, per quelle doti di lucidità e di disincanto che evitano di far cadere il romanzo in una fiaba, come più propriamente può avvenire per l’Odissea. Dimostrando come nel gioco della finzione la sua verità di base resta incrollabile, Luciano scrive un’opera d’ineguale furbizia, spiazzante comicità e magistrale esperienza, che tradisce il suo percorso di scrittore, mai sazio di novità. Le introduzioni linguistiche nel romanzo sono la prova della sua creatività senza limiti. Gli piace inventare, ricostruire, giocare con le infinite sfumature della lingua greca, per fini comici addirittura utilizzare gli etimi delle parole a suo piacimento. Paradossalmente, c’è nella volontà di rimescolare gli etimi delle parole qualcosa di vero: ἔτυμον era presso i grammatici e i filosofi che Luciano vuole deridere proprio il significato vero della parola che restituisce attraverso vocaboli che partono da una radice accostata ad insolite terminazioni che, creando nuove parole, ha effetto comico-assurdo. Vero e falso dunque sono mescolati, ma la sincerità dell’autore è inattaccabile: ha già detto in apertura che lui mente e che quindi non bisogna prestar ascolto alle sue parole. Resta dunque, appurato l’intento comunque sempre polemico e l’approccio derisorio, una stupenda finzione narrativa che può, secondo alcuni, etichettare Storia vera come il più legittimo antenato del romanzo di fantascienza. Nell’impasse dell’andazzo generale, sempre più diffuso, di raccontare bugie su bugie, Luciano, non senza elementi di provocazione, trova ugualmente una via d’uscita e sfrutta il paradosso e la parodia come sue armi essenziali: tolto il bel rivestimento avventuroso del romanzo resta uno scheletro di autonomia letteraria e originalità che non dà scampo e che avvince nella fluidità della storia e nella “falsità onesta” dell’autore, che, nella duplice veste di narratore e di protagonista, fornisce dritto e rovescio del tessuto narrativo e raggiunge infine la verità.

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