Titolo originale: Ἀληθῆ διηγήματα (propriamente “Storie vere”)
Autore: Luciano di Samosata
Casa editrice: Garzanti
Non si conoscono con precisione della sua vita né la data di nascita né quella di morte, ma sicura è la sua origine siriana così come lo è la collocazione dell’autore nel II secolo d. C.
Evitata la carriera di scultore, studiò presso i sofisti dell’epoca e si associò alla lingua greca ed al pensiero ellenistico. Successivamente fece moltissimi viaggi, sia come oratore che conferenziere. Svolse per breve tempo anche l’attività di avvocato. Tornato in Grecia, ad Atene, dopo aver viaggiato dall’Asia Minore all’Italia, dalla Siria alla Gallia, fino all’Egitto dove adempì al suo ultimo incarico di segretario della cancelleria imperiale, vi morì dopo il 180.
Data di pubblicazione: II secolo d. C.
Trama: Composta sotto forma di romanzo avventuroso dalle tinte autobiografiche in quanto protagonista dell’opera è Luciano stesso, Storia vera rappresenta un esempio di romanzo alla greca in cui, nella necessaria commistione tra elemento avventuroso e amoroso, manca pressoché totalmente il secondo, mentre l’attenzione dell’autore è completamente rivolta alla narrazione di eventi avventurosi, sostenuti da un ritmo incalzante che regge l’intero gioco narrativo. Opera prosaica in due libri, è la concretizzazione dell’estro fantastico dell’autore, che si sbizzarrisce nel dipingere situazioni che passano dall’assurdo all’iperbolico, dal fantasioso all’inatteso, che costituiscono il viaggio dell’autore. Inizialmente partita come semplice storia sull’Oceano, Storia vera sfocia nella più ricca narrazione di un viaggio che parte dalle Colonne d’Ercole per fare tappa sulla Luna, il Sole fino agli Antipodi e coinvolgere gli elementi naturali in una realtà dove la natura appare snaturata: uomini che vanno in groppa a giganteschi avvoltoi a tre teste, i Cavalcavvoltoi, uccelli con il corpo interamente ricoperto d’insalata anziché di piume, gli Alidinsalata oppure marinai che navigano in grossi gusci di noce, i Navinauti, sono i bizzarri personaggi che Luciano e il suo equipaggio incontrano.
Dopo battaglie navali e scontri tra Sole e Luna, un inaspettato soggiorno nel ventre di una balena e una navigazione aerea, prima tra le chiome degli alberi e poi tra nubi e tra cieli mozzafiato, giungono alla corte di un misterioso Radamanto, giusto in tempo per assistere ai processi di Aiace, Teseo e Menelao e al rapimento di Elena da parte del giovane Cinira. Insolite isole fatte di formaggio, sughero e altri materiali sono la cornice della navigazione di Luciano che fa la conoscenza diretta di alcuni personaggi che l’antica letteratura prima di lui aveva già celebrato: Omero, Calipso, Odisseo.
Fatta tappa nel paese dei Sogni, dove scopre che non sono soltanto due le porte del Sogno, ma quattro, incrocia le “Gambedasino” (in greco Onoskelèas) molto simili alle mostruose creature mitologiche Empuse. Partito con la stessa curiositas di Odisseo di valicare le Colonne d’Ercole, Luciano riprende il tema dell’avventura per mare, che sembra aver influenzato i più grandi romanzieri da Ariosto a Verne fino a Collodi, e lo stravolge nel suo gioco fantasioso che arricchisce di descrizioni e strabilianti personaggi.
Dalla pancia della balena alla Luna, gli ambienti accompagnano l’azione narrativa ora incentrata su guerre lunari e stellari, ora su incontri con popolazioni straniere che, nei loro costumi e nel loro aspetto, ricordano ora l’antropofago ciclope Polifemo, ora lo spaventoso Minotauro. Ma non si pensi che è tutto fantastico il divertimento di Luciano: spesso e volentieri è dalla realtà e dai suoi protagonisti che attinge per ribaltarla nella mirabolante finzione del suo romanzo avventuroso. Pieno di rimandi e di citazioni stravolte è il romanzo, pregno di giochi di parole e invenzioni linguistiche, di accostamenti e ironia e da padrona la veritas impressa sin dal titolo. Veritas di una storia sincera nell’ammissione della sua totale inconsistenza.
Confronti letterari: Se è vero che su tutto, in una prima lettura, anche superficiale, del romanzo domina il tema dell’avventura per mare che tiene in vita l’eroe-viaggiatore, è di conseguenza vero che innegabile è l’importanza che Omero deve aver assunto per Luciano. In effetti, il modello letterario del romanzo avventuroso ed il tema in sé delle peripezie per mare è, pur se traslato in prosa da Luciano, prerogativa dell’epica che Omero intesse nel suo poema epico dell’Odissea. Dallo spunto omerico di Odisseo, che spinto dalla curiosità oltrepassa le Colonne d’Ercole, limite del mondo allora conosciuto, Luciano ricostruisce il suo personaggio principale e lo fa partire proprio dal punto in cui inizia l’ultimo folle viaggio dell’eroe. Causa e presupposto del viaggio in Storia vera, è per ammissione dell’autore la “curiosità insaziabile della mia natura e il desiderio di nuove esperienze”: giustificazione ad un viaggio pericoloso e costellato di insidie in tutto e per tutto speculare all’animo di Odisseo, sempre in cerca di nuove conoscenze che, se simile a Luciano nei presupposti del viaggio, è anche aspramente criticato dall’autore della Storia per la sua “ciarlataneria”: è qui che la divergenza tra Omero e Luciano si fa insormontabile.
E’ infatti paradossale che due personaggi mostrino la stessa curiosità e la stessa intenzione e voglia di andare “al di là” ed entrambi respirino atmosfere al limite dell’assurdo, ma l’uno venga biasimato dall’altro per il solo fatto di raccontarle, quando l’atto di narrare è compiuto da ambedue. Per Luciano, infatti, Odisseo è un campione di bomolochìa, concetto tutto lucianeo che la traduzione rende con “ciarlataneria”, ma che in realtà è più simile a “buffonata”, “scherzo”, implicito dire “di cattivo gusto”.
Dunque Luciano ritiene l’intera ars oratoria di Odisseo, la sua famigerata eloquenza niente più che uno scherzo, e più precisamente ritiene una buffonata il contenuto del suo racconto alla corte dei Feaci, ponendosi così in accordo con tutta una serie di autori che biasimano la tradizionale scaltrezza di Odisseo ritenendola un disvalore.
Invece, il racconto di Luciano. che dopotutto tratta di imprese analoghe a quelle compiute da Odisseo nel suo poema celebrativo, non è opera di ciarlataneria né una buffonata inventata al momento per intrattenere: è una storia vera, una storia scherzosamente autobiografica ma autentica solo perché sincero è l’animo dell’autore ad ammettere la totale falsità di ciò che sta dicendo. Omero non ha alcun bisogno di smentire le storie da lui tramandate e di dire apertamente che sono inventate, e pur lo farebbe, perché in fondo la storia di Odisseo non è che un braccio dell’epica esemplare-didascalica e dunque ovviamente simbolica. E non vuole smentire né la sua facundia né tantomeno quella dell’eroe sua creazione perché il poema è un’esaltazione, un trionfo di queste virtù d’eloquenza, di furbizia, ma soprattutto della capacità di intrattenere e avvolgere le persone con le parole, proprio come fa Odisseo, abilità da Luciano come prima cosa negate e poi diffamate.
Questo perché l’intento di Luciano è distante anni luce da quello di Omero, poetico e didattico: la Storia vera, posta in confronto con l’Odissea, si svuota di ogni elemento mitico, ogni accenno all’incanto, e seppur apertamente iperbolica è molto lucidamente narrata sotto forma di una specie di diario di bordo, che segue, parodiandoli, i dettami del precedente scritto di Luciano Come scrivere la storia, di cui Storia vera rappresenterebbe l’antifrasi. Ecco il vero intento di Luciano, che rende possibile l’accostamento della sua opera all’Odissea solo su un piano puramente formale-tematico ma mai significativo: remare contro una lunga fila di storiografi bugiardi, troppo impegnati ad adulare i sovrani e le loro opere buone per mettere in risalto anche gli errori e quindi essere obiettivi e sinceri.
La menzogna, per Luciano, sta nel perdere il piacere della narrazione e sostituirlo a meri fini materiali, dire falsità su falsità, ingannare un lettore che, anche leggendo “fanfaronate”, ne dovrebbe essere al corrente. Omero rappresenta nel romanzo di Luciano e per Luciano sia l’attrazione che la menzogna, perché è l’iniziatore di quest’arte oratoria che trasmette al suo diletto Odisseo, e Luciano mette in luce questo stretto rapporto tra creatore e creazione anche evidenziando come, nel processo, Omero riesce a passarla liscia con il patrocinio di Ulisse.
A credere alle sue parole, i Feaci sono secondo Luciano degli ingenui, sono ciò che sarebbe qualsiasi lettore di Storia vera se non fosse avvisato della serie di menzogne che il romanzo contiene. Dunque nel romanzo di Luciano ben in vista è quest’intento critico nei confronti degli storiografi falsi e poco attenti alla minuziosa e autentica ricostruzione di storie che, dice, non hanno nemmeno vissuto in prima persona. E di questo Luciano non può essere accusato: la sua bugia è un’enorme falsità autobiografica.
Raggiunge l’intento polemico nei confronti delle “storiche bugie” ricorrendo ad una serie di ricostruzioni letterarie, attingendo qua e là dalla tradizione mitico-epica. Ad esempio, ritorna dall’Iliade il vile Tersite, che ha sporto denuncia a Omero per averlo diffamato nelle sue opere. Questo tentativo di recupero di memorabili personaggi dell’epica e del mito non vuole essere di semplice ricordo della tradizione, ma è più che altro funzionale allo scopo di Luciano di seminare ironia dappertutto, comicizzare fatti e personaggi anche apparentemente intoccabili nella loro consacrazione al mito, renderli meno solenni e “ingessati”, smuoverli dal loro piedistallo che li rende exempla e trascinarli nel suo gioco parodistico senza freni che non lascia indenne nessuno.
Neanche la ninfa Calipso, che, se nell’Odissea è raffigurata come una splendida immortale interessata essenzialmente all’amore di Odisseo, in Storia vera riceve una lettera dal suo amato e si preoccupa se Penelope sia ancora bella e fedele come si afferma. Nel mettere piede nelle orme di Odisseo, Luciano critica Omero per l’imprecisione delle sue descrizioni, impoverite dall’asciuttezza dei dettagli, nello specifico della descrizione dell’Isola dei Sogni.
Continua…