Il mio primo viaggio in Inghilterra fu in aereo con una compagnia, Britannia, che adesso non esiste più. Mi sembrò un “viaggio” perché davvero mi sentii altro da me, in un paese con lingua, tradizioni, cibi e cultura diverse dalla mia. Fu un viaggio che mi mise alla prova, che costrinse a reinventare me stesso in relazione al quel contesto per me inedito. Per la prima volta mi sentii altro. Incapace di comunicare un “me” solito e tranquillizzante. Il “me stesso” con il quale ero cresciuto e che aveva fatto di me ciò che ero fino a quel momento.
Quella prima esperienza mi trasformò a tal punto che capii di essere una cosa aperta, un progetto, una ambizione. E seppi da allora che quel progetto e quella ambizione avevano bisogno di continui stimoli culturali. Gli stessi che sapevo avrei potuto acquisire solo facendo del viaggio e della scoperta di nuovi luoghi il motore del mio stare al mondo.
Eppure non ero spaventato, anzi. Avevo una ammirazione per tutta la diversità culturale che percepivo, godevo della possibilità offerta alla mia generazione di scoprire tutto ciò in una cornice, l’Europa, che si percepiva come un continente ricco di cultura, valori, differenze ma che era accomunato da una idea di integrazione, di pace, di sviluppo di pilastri comuni su cui costruire la nuova identità. Una identità europea.
Per la mia e per le generazioni successive queste erano cose di poco conto. Eravamo abituati o ci stavamo abituando all’idea di una Europa che consentiva viaggi di istruzione, scambi culturali, che iniziava ad abbattere barriere e che aveva intrapreso un percorso ambizioso e difficile: una moneta comune.
Tutto questo mettendo insieme paesi che per secoli si erano fatti la guerra. Che avevano sacrificato intere generazioni sull’altare del nazionalismo e delle priorità nazionali. Adesso, finalmente, polacchi e tedeschi, tedeschi e francesi, italiani e greci, inglesi e tedeschi potevano cooperare per costruire un sogno che avrebbe finalmente consegnato alla storia gli orrori delle devastanti guerre del novecento.
Nel corso degli anni questo progetto è andato avanti, ha realizzato alcuni sogni e ne ha mancati altri. Ha realizzato una politica monetaria comune, ha adottato politiche in difesa dei consumatori. Ha distribuito fondi per aiutare le aree a ritardo di sviluppo, ha creato un mercato di più di 200 milioni di consumatori. Inoltre, ha incoraggiato la ricerca e finanziato missioni spaziali, ha difeso la cultura europea dall’invasione americana, ha finanziato musei, ha protetto le minoranze linguistiche e culturali.
Sul fronte dell’educazione, ha incoraggiato la collaborazione tra università, ha finanziato i programmi di mobilità di studenti. Grazie a questo, giovani di tutta europa hanno amici in tutta europa e si sentono parte di un grande spazio fatto di differenze e diverse identità. Queste differenze sono un patrimonio comune, una base per la ricerca, l’innovazione, la creatività. L’Europa in quanto spazio è un grande luogo dove coltivare sogni.
In tempi così difficili, con guerre ai suoi confini che spingono tanta gente a fuggire per giocarsi la carta di un futuro possibile, è facile cedere alla paura. E’ umano e naturale. Ma i problemi si affrontano meglio uniti. Adottando la solidarietà quale guida per le decisioni da prendere.
L’Inghilterra domani decide se far parte di questo spazio, di questo orizzonte di possibilità o chiudersi a riccio per richiudere le sue frontiere.
L’Europa è, perciò, ad un bivio cruciale della sua storia. C’è la tentazione di tornare indietro, di pensare che si fa meglio da soli e questa è una idea che incontra molte adesioni. Ma è davvero così? Davvero la distruzione di un sogno di pace, di una convivenza tra culture e di una crescita comune e perequata è la soluzione a tutto? Davvero i giovani europei che si spostano arricchendo i luoghi scelti come posti per vivere rappresentano il problema e non la ricchezza per quelle società? Immaginate per un attimo Londra senza i 500 mila italiani (!) che vi abitano: sarebbe davvero la stessa città? Sarebbe davvero meglio per i londinesi, per l’Inghilterra e per Londra in quanto capitale delle multiculturalità?
Se davvero sono tanti i problemi che ci troviamo a dover affrontare allora bisogna concepire una risposta adeguata agli stessi problemi. Questa risposta è necessariamente politica ed è una risposta complessa, matura, ponderata, che guarda ai problemi con lo spirito di affrontarli e magari risolverli, Non semplicemente eliminarli. Ogni altra via, di quelle semplici propagandate come soluzioni di pronto intervento, sono magari in grado di infiammare le teste di chi è già sommerso dai problemi, ma non sono la soluzione.
Lo sono solo per le elite che soffiano sul fuoco del tanto peggio tanto meglio.
Ma la storia insegna che è proprio questa la strada che porta al disastro.
Domani sono certo che prevarranno in Inghilterra le ragioni per restare in Europa. Penso che alla fine gli inglesi daranno al proprio paese una possibilità in più per crescere insieme gli altri paesi e di provare, con questi, ad affrontare i problemi comuni. Lo dico pensando a Jo Cox, al suo sorriso, al suo orgoglio di rappresentare una comunità multiculturale, al suo battersi per le cause giuste e talvolta impopolari. Anche se questo costa molta fatica e, come nel suo caso, si rischia addirittura di morire.
Domani sera sapremo la verità. Stanotte non sarà una notte come tutte le altre.